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Il peso del corpo

  • sarazaccagnini
  • 9 mar 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 10 mar 2021


Nei disturbi alimentari esiste una grande varietà di modi di presentarsi, di manifestazioni sintomatologiche e di decorsi clinici.

Anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata –

L' Anoressia nervosa è una restrizione dell’assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso cioè inferiore al minimo normale (con livello di gravità da lieve, indice di massa corporea >17, a estremo <15) nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica. Intensa paura di aumentare di peso, alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.

Tipo con restrizioni e tipo con abbuffate/condotte di eliminazione.

La Bulimia nervosa è caratterizzata da ricorrenti episodi di abbuffate. Un episodio caratterizzato da entrambi i seguenti aspetti:

a) mangiare in un determinato periodo di tempo (es. due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili;

b) sensazione di perdere il controllo durante l’episodio.

Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie, almeno una volta la settimana per 3 mesi (vomito, lassativi, diuretici ecc..). i livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo.

Il Disturbo da alimentazione incontrollata ha la presenza di ricorrenti episodi di abbuffate caratterizzati da:

a) Mangiare in un periodo definito di tempo (es. 2 ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo.

b) Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio

Gli episodi di abbuffata sono associati a tre o più dei seguenti aspetti:

– Mangiare molto rapidamente del normale

– Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni

– Mangiari da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando

– Sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa dopo l’episodio

L’abbuffata si verifica in media almeno una volta la settimana per 3 mesi e non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie.I soggetti hanno un grave disturbo dell’immagine corporea.e un’incapacità di interpretare in maniera appropriata la fame o altri segnali interni sono sopraffatti da un senso di inadeguatezza.

La preoccupazione di dover perdere peso e l’evitamento fobico della “grassezza”, connessi a una eccessiva valutazione di sé basata solo sul proprio peso e le proprie forme corporee, suggeriscono che in questo disturbo ci sia una forte componente di origine cognitiva (Fairburn, 2002). Inoltre, è stato recentemente ipotizzato che, in molte pazienti, uno o più dei quattro processi cognitivi di mantenimento interagiscono con la profonda psicopatologia dei disturbi dell’alimentazione, contribuendo a mantenerli e opponendosi al loro cambiamento (Fairburn et al. 2003).

Tali processi cognitivi di mantenimento sono perfezionismo, autostima cronicamente bassa, disforia e difficoltà interpersonali. Tutte queste difficoltà di origine cognitiva sono caratteristiche centrali di questi disturbi; le manifestazioni comportamentali (come restrizione alimentare o dieta e abbuffate e condotte compensatorie) sono secondarie alle disfunzioni cognitive (Fairburn, 2002).

I trattamenti psicoterapici cognitivo comportamentali sono terapie strutturate con tempi ben definiti e che affrontano le credenze e i comportamenti che si suppone abbiano provocato e mantengano il disturbo. Una combinazione di rinforzi positivi e negativi mantiene i comportamenti delle pazienti e aiuta a spiegare la natura ego-sintonica della malattia.

L’obiettivo principale della CBT, è promuovere tutte le strategie che possono combattere queste credenze e comportamenti cercando di normalizzare così le abitudini alimentari.

Bibliografia


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• Touyz, S.W., Polivy, J. e Hay, P. (2008) Eating disordes. Disturbi dell’alimentazione sviluppi in psicoterapia: trattamenti evidence-based

La terapia cognitivo-comportamentale trae le sue origini dalla terapia cognitiva della depressione e dei disturbi di ansia e dalla terapia comportamentale.

E’ il trattamento d’elezione per la Bulimia Nervosa ma viene adottata con successo anche nell’Anoressia Nervosa e nel Disturbo da Alimentazione Incontrollata.

Il modello cognitivo proposto per i Disturbi Alimentari considera come principale responsabile degli atteggiamenti e dei comportamenti anoressici e bulimici, la presenza di cognizioni (pensieri) errate o distorte.

Nella terapia cognitivo-comportamentale vengono pertanto affrontati i comportamenti alimentari scorretti e lo stile cognitivo /stile di pensiero) correlato.

La terapia cognitivo-comportamentale è costituita essenzialmente da tre fasi principali.

Nella prima fase vengono date al paziente informazioni sul disturbo, si mira alla riduzione delle abbuffate regolarizzando la frequenza e la composizione dei pasti e utilizzando attività alternative alle crisi bulimiche.

Nella seconda fase l’obbiettivo è quello di migliorare la qualità e la quantità dell’alimentazione, di affrontare il pensiero di dieta, di riconoscere le situazioni a rischio e far pratica di esercizi di “soluzione di problemi” (problem solving).

Nella terza fase vengono consolidati i risultati ottenuti e viene affrontato il tema della prevenzione delle ricadute.

Una tecnica molto utile è l’uso del diario alimentare (automonitoraggio), in cui vengono registrate dalla paziente modalità e quantità dell’alimentazione, successivamente analizzate e discusse con il terapeuta, insieme alle emozioni e alle convinzioni legate al cibo.

Attraverso questa tecnica le pazienti apprendono a riconoscere e ad affrontare situazioni e comportamenti a rischio.

Una delle “accuse” mosse alla terapia cognitivo-comportamentale è quella di non affrontare i problemi globali della persona, ma di limitarsi agli aspetti sintomatologici del disturbo. In realtà, anche se è vero che nelle fasi iniziali del trattamento ci si focalizza soprattutto sulla gestione della fase “acuta” del Disturbo Alimentare (come ad es. lavorare sulla diminuzione degli episodi di digiuno, di vomito e/o di abuso lassativi e della frequenza delle crisi bulimiche), nelle fasi successive la terapia prevede di affrontare tutte le problematiche che presentano una connessione con il Disturbo Alimentare e, soprattutto, le difficoltà familiari e relazionali, lo sviluppo di una fragile autostima e le possibili cause che hanno favorito lo sviluppo del Disturbo Alimentare.


 
 
 

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